giovedì 28 maggio 2009
ED ANCORA....
Ho avuto il mio primo contatto con l’anoressia sin dall’infanzia, perché un mio parente ne soffriva dall’adolescenza. Anche se da piccoli non ci si rende conto fino in fondo dei problemi dei grandi perché si vive principalmente in un mondo di fantasia, mi accorgevo dell’infelicità che pervadeva questa persona. Mi rendevo conto della sua fragilità.
Poi alle superiori il mio corpo ha iniziato a trasformarsi e anch’io come le ragazzine di quest’età ho inutilmente iniziato una dieta, un po’ perché non pensavo che il mio corpo fosse asciutto e adatto all’atletica agonistica, un po’ anche perché mi dicevano che ero ingrassata. “Hai il sedere da matrona romana!” mi veniva detto, ma devo dire che nonostante i miei tentativi non sono mai riuscita a seguire fino in fondo una dieta che, tra le altre cose, inventavo seguendo suggerimenti di inesperti.
Non ho mai sofferto di disturbi alimentari, ma come atleta forse c’è stato un breve periodo in cui sono stata attenta a cosa mangiavo perché altri mi dicevano che dovevo dimagrire. La mia testimonianza è il risultato di ciò che ho visto e vissuto in questi 9 anni di atletica leggera. Penso sia importante far capire perché ho ritenuto estremamente necessario dover fare qualcosa. Sono scomparse molte ragazze dalle piste perché colpite dall’anoressia: alcune sono state costrette ad abbandonare perché il loro corpo, privo di nutrimento, non poteva più sostenere gli allenamenti; altre sono morte, e la cosa più triste è che nessuno sa il motivo. Si organizzano gare in loro memoria, ma non si sa il perché della loro scomparsa.
Ho veramente capito cosa fosse l’anoressia quando la mia carissima amica ha iniziato a stare male. Vedendoci solo alle gare, mi sono accorta che qualcosa in lei non andava. Quando l’ho vista così dimagrita le ho chiesto cosa avesse, “Tensione per gli esami di maturità”, mi ha risposto. E, devo dire la verità, le ho creduto. Inizialmente non mi ha nemmeno sfiorato l’idea che una ragazza così allegra, piena di gioia e voglia di vivere, potesse soffrire di questo male. La situazione è peggiorata, ma alla fine tutto si è risolto. Ovviamente il percorso è stato lungo e difficile ma ha avuto il coraggio di accettare l’aiuto che le è stato offerto e ora è tornata più gioiosa di prima. Ne è prova la sua testimonianza e il suo entusiasmo quando lavoriamo insieme per l’associazione. È tornata anche a correre e sono certa che anche in ambito atletico potrà solo migliorare perché il suo potenziale è grande.
Questa esperienza mi ha fatto scontrare per la prima volta, in modo conscio, con la malattia. È stata la prima e purtroppo non l’ultima.
Il mio è un punto di vista esterno. Voglio cercare di far capire che se si ha anche il minimo sospetto che una persona soffra di disturbi alimentari non si può rimanere indifferenti. È importante intervenire tempestivamente perché prima si agisce maggiori sono le possibilità di guarigione.
Il mondo dell’atletica e più in generale quello dello sport, deve capire che l’anoressia e gli altri disturbi alimentari sono delle malattie e, come ogni altra malattia, devono essere curate. Però è anche necessaria una campagna di prevenzione. Non è difficile, basta semplicemente stare attenti alle parole, basta non “accusare” le ragazzine, atlete e non, di essere grasse o non suggerire diete inventate; avere dei fianchi,avere un corpo femminile, non vuol dire essere grasse.
Spero di aver fatto capire non solo che è una malattia grave ma che ognuno di noi, anche solo con piccoli gesti, può fare qualcosa!
un abbraccio
Non è facile parlare di una malattia che sempre più si diffonde tra i giovani e sempre meno è riconosciuta come tale dai ragazzi.
Non ho vissuto l’anoressia in prima persona, ma l’ho vista aggrapparsi ai corpi di amiche che pian piano perdevano pezzi e neanche se ne accorgevano…
si dice che chi ha problemi alimentari come questi si guardi allo specchio e veda una persona diversa da quella che è…forse non è così e il problema è proprio questo…forse l’immagine riflessa è solo quella materiale, il corpo ormai solo ossa…ma cosa interessa ad una anoressica del suo corpo? nulla in fondo…quello che la tocca è ciò che sta dentro, in fondo alla pancia…quello spazio/elemento innominato che scatena le emozioni…lì non c’è più niente quando qualcuno cade nel pozzo dell’anoressia, non si prova più nulla, e probabilmente proprio la ricerca di un’emozione porta a continuare a torturarsi e a dirsi “forse domani sarò felice…”; finché la ragione ha la meglio sull’istinto, finché il pensiero riesce a sovrastare l’irrazionale…allora ci si rende conto che l’unica risposta, l’unica emozione possibile è la V.I.T.A, quella cosa che qualcuno ti ha donato e che ti rendi conto di non voler perdere così, per una manciata di Kg in più o in meno.
Ci sono milioni di circostanze o motivazioni che portano ad ammalarsi e il primo passo verso la guarigione è la presa di coscienza del fatto che si è effettivamente malati…e si può uscire da quel pozzo, che senza fondo non è.
Mi sono chiesta tante volte come avrei potuto aiutare M., che lentamente si stava spegnendo sotto i miei occhi umidi, che trattenevano le lacrime per non mostrare la mia debolezza…la verità è che non ho scelto io di fare qualcosa…la vita mi ha portata sulla strada, la strada di Villa Garda (una clinica sul lago che cura disturbi alimentari), in quel mese di luglio torrido, quando con lei ho varcato la soglia di quella che sarebbe stata la sua casa per circa sei mesi…non ho capito prima di lei quanto fosse grave e non ho paura a dire che quando ho visto la sua reazione all’idea di curarsi lì l’avrei portata via sulle mie spalle; ma ho paura a dire che spesso anche nella mia mente si è insinuata la brutta idea di smettere di mangiare…per fortuna non ho corso questo rischio e sono contenta di aver aiutato qualcuno, probabilmente senza rendermene neanche conto. La sola mia presenza l’ha convinta a restare dov’era, ad affrontare il problema e a risolverlo con coraggio.
Non mi sono mai sentita così importante per una persona, se non in quella circostanza…
e tuttavia tocca anche a me ringraziare per aver vissuto tutto questo, perché non è facile capire quanto la scalata sia difficile finché non la si vede davanti a noi o con gli occhi di una persona a cui vogliamo bene.
“Siamo quello che mangiamo” diceva un filosofo, forse già prospettando l’idea che se non mangiamo, NON SIAMO.
TESTIMONIANZE-III PARTE
TESTIMONIANZA
Sono una ragazza con un disturbo alimentare da molti anni, da così tanti che ho l’impressione che sia nata con me. Ritornando in dietro con la mente non c’è un solo ricordo, una sola emozione che non sia legato al cibo. Ero poco più di una bambina quando sono iniziate le prime abbuffate,la ricerca affannosa di qualcosa da mangiare, le bugie dette agli altri ma soprattutto a me stessa. Tante volte guardandomi allo specchio mi sono detta, da domani basta.
Quante diete, iniziate e lasciate poco dopo, mi hanno fatto sentire ogni giorno sempre più inutile, depressa, sconfitta e mi hanno fatto odiare. Vedevo le altre ragazze, belle, sorridenti sempre a proprio agio in mezzo agli altri. Io sempre in disparte cercavo di essere invisibile, per non essere giudicata. Spesso i ragazzi sanno essere spietati e puntualmente mi venivano fatti apprezzamenti cattivi, e ridevano di me.
Purtroppo questo succedeva anche con quelle persone che più di chiunque altro mi dovevano amare per quella che ero e non per il mio aspetto fisico, i miei genitori. Ho sempre cercato l’aiuto, la loro comprensione, ma soprattutto un pò d’amore.
Sono sempre stata una bambina brava, mai nessun capriccio, poi un’adolescente silenziosa e responsabile, ubbidiente. Questo però non è bastato a farmi sentire amata come volevo io, dai miei genitori. Sono due persone eccezionali, e mi vogliono un bene immenso, ora grazie alla psicoterapia l’ho capito, ma non sono riuscite a starmi vicino nei dovuti modi, nel momento più importante della mia vita. Sono sempre stati molto occupati a lavorare per non farmi mancare niente, la sera erano troppo stanchi per ascoltarmi, o forse a loro non importava quello che succedeva nella mia vita e non si sono accorti che io volevo semplicemente essere amata e accetta da loro. Volevo che mia madre si fermasse un attimo a chiedermi perché passavo pomeriggi interi da sola a piangere, perché c’èra sempre quella tristezza nel mio sguardo. Volevo essere abbracciata e accettata da mio padre. Invece tra noi ci sono stati sempre e solo tanti silenzi e incomprensioni. Nella mia mente c’erano tante domande che aspettavano una risposta che mi aiutasse a capire, a crescere. I miei, però, per non porsi il problema hanno scelto la via più facile, forse quella più immediata, quella del silenzio. Sono così cresciuta con tanti dubbi, paure, mi sono data da sola le risposte che cercavo.
Volevo con tutta me stessa che almeno la mia famiglia mi considerasse una persona con un cuore e un’anima e non guardasse solo la quantità di cibo che mangiavo, o il mio peso. Avevo bisogno della mia famiglia per riempire quel vuoto e quella solitudine che sentivo ogni giorno più forte dentro di me, quella sensazione di essere sempre fuori posto, inutile.
Ma non c’èrano mai, così ho trovato nel cibo un amico, sempre disponibile, sempre presente, un amico che non mi tradiva e che mi regalava un minuto di felicità. Troppo tardi mi sono accorta che il cibo mi aveva ingannato, che era diventato per me un’ossessione una trappola, ma soprattutto che non mi riempiva il vuoto d’amore ma solo lo stomaco. E puntualmente, dopo ogni abbuffata, mi sentivo un fallimento, aumentando ancora di più l’odio che provavo verso me stessa e vomitavo tutto quell’odio, il rancore e la sconfitta che bruciava dentro di me.
Ora che ho intrapreso la via della guarigione, ho compreso che il cibo non può risolvere un problema che non è fisico ma è dell’anima, ho accettato molti eventi negativi, che sono capitati, ho accettato soprattutto che per colpa della mia malattia io mi sia procurata ferite indelebili. Anche se quando ci penso ancora fa male, tanto, credo che con il tempo il dolore lasci il posto alla comprensione e al perdono.
La cosa più difficile ora è trovare il modo di amarmi, se esistesse una pillola che faccia aumentare l’autostima e l’amore per me stessa la prenderei subito, ma non è così facile purtroppo, io ancora non riesco ad amarmi forse perché quella solitudine, quel vuoto è ancora forte dentro di me o forse perché come quando ero bambina aspetto ancora e spero che i miei genitori riescano ad amarmi e ad accettarmi per quella che sono, con i miei pregi e i miei difetti, ma soprattutto anche con qualche chilo di troppo.
Io ci sto provando con tutte le forze. Se loro non ci riescono voglio farcela io, voglio amarmi perché credo di meritarlo come tutti, perché ho sofferto abbastanza e anche se la strada è ancora lunga, se non riesco a mangiare proprio correttamente e il cibo mi fa ancora paura, se ci credo fino in fondo e mi pongo l’obbiettivo di farcela per la prima volta sarò io a vincere sul cibo e non ne sarò più prigioniera.
TESTIMONIANZE-II PARTE
La sua però è una storia diversa. Beatriz era brasiliana, insegnava a San Paolo e soffriva di anoressia nervosa da quattro anni, come hanno raccontato i familiari. La crisi fatale è stata raggiunta 3 mesi fa, quando Beatriz è arrivata a pesare 27 kg.
Niente mondo dello spettacolo, ma sempre problemi di accettazione e di immagine. Beatriz voleva essere magra.
Da piccola era stata una ragazzina obesa, arrivando a pesare 100 kg. I suoi disturbi sono nati con la prima dieta e da lì il controllo del peso è diventato ossessivo. Beatriz non sembrava depressa, anzi, era una ragazza attiva. Insegnava inglese, scriveva per un sito che si occupava di notizie locali, seguiva un corso per responsabile di risorse umane e suonava il pianoforte. Eppure, era malata e nessuno è stato capace di aiutarla ad accettare la sua immagine.
In Brasile, dove paradossalmente ancora si muore di fame per malnutrizione, i casi di anoressia stanno aumentando. Probabilmente il paese non è preparato ad affrontare i disturbi alimentari che hanno origine psicologica, dovendo fronteggiare l’estrema povertà.
Anoressia e bulimia sono patologie complesse e difficili da diagnosticare, che solo negli ultimi anni hanno acquisito lo status di malattie.
L’importante è continuare a parlarne e riconoscerle per quello che sono: non stili di vita,
TESTIMONIANZE-I PARTE
L’ultima a morire per fame è stata Maiara Galvao Vieira. Maiara era una ragazza brasiliana di 14 anni, alta 1,70, che pesava solo 38 kg e voleva fare la modella.
Questa volta la colpa non è degli stilisti che l’hanno fatta lavorare senza controllarne la salute. La colpa è del degrado, della mancanza di futuro, dei falsi miti.
Insomma, la colpa è un po’ di tutti noi che fingiamo di non vedere. Maiara non era particolarmente bella, ma sognava di sfilare, forse per fare fortuna e andarsene da Nova Iguaçu, alla periferia di Rio de Janeiro.
Sono tante le ragazze come lei e non è raro che per sfuggire ad un futuro di privazioni quelle più belle cerchino di entrare nel mondo della moda e dello spettacolo.
Figlia di un ciabattino e con altri quattro fratelli, deve aver pensato di potersene andare via e diventare ricca.
“Aveva ottenuto che i genitori, con grandi sacrifici, le facessero seguire un corso per aspiranti modelle – spiega la cugina - Sfilava ogni volta che se ne presentava l'occasione, a scuola, in parrocchia o nelle feste comunitarie del quartiere. Era sempre stata magra, era sempre in dieta, ma negli ultimi mesi aveva smesso di mangiare davvero”.
Ora però Maiara è morta, per arresto cardiocircolatorio. Il suo cuore non ha retto alla mancanza di energia.
Negli ultimi mesi si era sforzata di dimagrire di più, riuscendo a digiunare completamente. I suoi genitori si erano accorti della malattia solo quando la ragazza non riusciva più a salire le scale della scuola che frequentava. Preoccupati, avevano portato la ragazza in ben tre ospedali diversi, a partire dal mese di settembre.
Purtroppo, nessuno aveva preso sul serio la malattia, rimandando a casa Maiara dopo alcune flebo, con la raccomandazione di mangiare di più.
Il padre ha intenzione di denunciare gli ospedali che non hanno diagnosticato l’anoressia nervosa e non hanno trattato la ragazza attraverso una terapia psicologica.
Ora è troppo tardi per Maiara, ma la denuncia potrebbe servire per evitare altre morti.